Source - Doppiozero

Jonathan Haidt: la generazione ansiosa
Jonathan Haidt: la generazione ansiosa Andrea Morando Lun, 03/02/2025 - 13:41 File audio mp3 0:00 Jonathan Haidt: la generazione ansiosa Letto da Elena Mordiglia Categoria audio Archivio
Kerouac e il buddhismo a ritmo di be-bop
Kerouac e il buddhismo a ritmo di be-bop Andrea Morando Gio, 09/01/2025 - 11:46 File audio mp3 0:00 Kerouac e il buddhismo a ritmo di be-bop Letto da Elena Mordiglia Categoria audio Archivio
Monsieur Chouchani
Monsieur Chouchani Andrea Morando Mer, 18/12/2024 - 11:12 File audio mp3 0:00 Monsieur Chouchani Letto da Elena Mordiglia Categoria audio Archivio
Se l’IA sa tutto, perché imparare?
Se l’IA sa tutto, perché imparare? Andrea Morando Lun, 25/11/2024 - 12:37 File audio mp3 0:00 Se l’IA sa tutto, perché imparare? Letto da Elena Mordiglia Categoria audio Archivio
Emily Dickinson, caccia all’impossibile
Emily Dickinson, caccia all’impossibile Andrea Morando Mer, 06/11/2024 - 13:26 File audio mp3 0:00 Emily Dickinson, caccia all’impossibile Letto da Elena Mordiglia Categoria audio Archivio
doppiozero goes international
doppiozero goes international Marco Belpolit… Ven, 24/07/2015 - 16:46 doppiozero è nato nel febbraio 2011 per dare voce a un’intelligenza collettiva che ha spesso scarsa visibilità e opportunità di confronto e a cui la cultura e i media mainstream restano sostanzialmente indifferenti.   Un’altra Italia, che parla una lingua diversa dalle retoriche ufficiali e non condivide l’umore pessimistico che ha condizionato molta parte del discorso pubblico italiano di questi ultimi vent’anni.   Questa intelligenza è fatta di critici, scrittori, reporters, studiosi di molte discipline diverse, impegnati nella ricerca di nuove prospettive di lettura dei fatti sociali, di nuovi modi di intendere la tradizione culturale, il patrimonio artistico, la cultura materiale, le forme di vita. L’obiettivo comune è osservare la contemporaneità in tutte le sue sfaccettature, per cogliere in arte, letteratura, cinema, filosofia, architettura, teatro, design, nelle esperienze e nei contesti politici, i germi di nuovi modi di immaginare il mondo e trasformare noi stessi.   doppiozero ha costruito nel corso di questi anni una piattaforma di scritture originali dedicate a temi, opere e figure essenziali della cultura contemporanea. doppiozero international intende oggi offrire ai lettori di tutto il mondo uno sguardo dall’Italia sulla realtà contemporanea, colta nel suo espandersi e differenziarsi al di là dei tradizionali confini di lingua e cultura.   Il nostro obiettivo è aprire un dialogo con chi in tutto il mondo si occupa dei nostri stessi temi ed è come noi alla ricerca di nuove prospettive teoriche e nuove forme di critica della contemporaneità. Vogliamo parlare a chi avverte i limiti di modelli conoscitivi e visioni tradizionali che non corrispondono più alle nuove forme di accesso, organizzazione e diffusione dei saperi che la rete ha reso possibili. A chi vuole cogliere il presente senza dimenticare la storia.   Vogliamo anche aprire una prospettiva nuova sull’Italia, che rinnovi l’immagine convenzionale di un paese rivolto al passato e dedito alla nostalgica difesa delle sue tradizioni. Contro tutti i cliché, vogliamo far conoscere un’Italia che affronta a viso aperto i nodi e i conflitti del tempo presente e rinnova consapevolmente la sua eredità culturale nel mondo interconnesso in cui tutti ormai ci muoviamo. In primo piano Marco Belpoliti, Stefano Chiodi TAGGED: Editoriale , 2015 , In primo piano View PDF Escludi da Homepage Includi Cognomi e nomi autori Marco Belpoliti, Stefano Chiodi
Abbi cultura di te. Sostieni doppiozero
Abbi cultura di te. Sostieni doppiozero La redazione Gio, 28/05/2015 - 09:00 Cari lettori, sono passati quasi cinque anni da quando abbiamo avviato la nostra attività: un sito culturale, una casa editrice non-profit, una comunità composta dai nostri autori e da voi. In cinque anni siamo cresciuti moltissimo in quantità e qualità. Qualche dato: superiamo i 4500 articoli pubblicati, i 50 e-book, i 900 autori di cui oltre un centinaio che scrivono stabilmente, pubblichiamo dai 3 ai 5 pezzi quotidianamente. Ma soprattutto grazie a voi abbiamo raggiunto un numero davvero grande di lettori: una media di quasi 5000 al giorno, il che significa circa 140.000 al mese. L’importanza e il prestigio di questa impresa li avete creati voi: accedendo ogni giorno al sito, leggendo gli articoli pubblicati, condividendoli e commentandoli. La vostra partecipazione sui social networks cresce sempre di più ed è sempre più viva, con oltre 40.000 contatti su Facebook e 19.000 su Twitter. E per continuare a esservi ancora più vicini abbiamo da poco attivato i profili Instagram e Pinterest.   Doppiozero è un impegno che ci prendiamo ogni giorno con ognuno di voi, perché la nostra è un’impresa culturale spontanea. A farla vivere ci sono più di dieci persone: due direttori, la redazione, i grafici, gli informatici, il comitato scientifico. Senza il loro entusiasmo, senza le persone che hanno creduto in noi in questi anni, doppiozero non esisterebbe. Ma da chi è composta la comunità di doppiozero? Da un pubblico trasversale per età, passioni e identità. Proprio questa diversità è il simbolo di doppiozero in cui l’incontro tra generazioni unisce voi e noi: siamo un unico gruppo che dialoga, un ponte tra passato e futuro.   Da oggi vogliamo intraprendere una nuova sfida. Come? Con una campagna di crowdfunding per essere più innovativi e più vicini alle vostre esigenze, per mantenere la nostra indipendenza e continuare a darvi nuovi contenuti ogni giorno, crescere, e offrivi sguardi originali sul mondo di oggi. Per far sì che “abbiate sempre più cultura di voi”. Vogliamo innovare la nostra interfaccia, renderla più efficace e accessibile, tenendo il passo con le trasformazioni culturali e tecnologiche, per comunicare meglio ciò che abbiamo da dire su arte, letteratura, cinema, teatro, editoria, filosofia, educazione, società, politica, moda, costume e altro ancora. Vogliamo realizzare un’applicazione che vi aiuti a organizzare e personalizzare i contenuti del nostro ricchissimo archivio, un vero giacimento costruito nel tempo, utile per tutti coloro che vogliono informarsi, conoscere, studiare, apprendere. Vogliamo infine ampliare la produzione di e-book per approfondire gli argomenti più attuali, dalla saggistica, al teatro, dalla storia dell’arte, ai miti d’oggi, per raccogliere gli scritti di grandi studiosi e dare spazio a nuovi autori.   Per questo vi chiediamo: sosteneteci! Per potervi dare tutta la cultura tutti i giorni. Per continuare a dirvi grazie! In primo piano La redazione TAGGED: Editoriale , 2015 , crowdfunding , #abbiculturadite , #sostieni00 , In primo piano View PDF Escludi da Homepage Includi Cognomi e nomi autori La redazione
Germania anno zero
Germania anno zero Roberto Gilodi Lun, 12/01/2015 - 08:36 Negli Stati Uniti e in Inghilterra la Germania è di moda. Così pare leggendo articoli di riviste e visitando mostre. In Italia, invece, la Germania appare oggi come una maestra arcigna e severa, che si fa beffe degli sforzi di rigenerazione politica ed economica intrapresi dal Belpaese a guida Renzi, e che non perde occasione per impartire a noi, e alle altre nazioni del Mediterraneo, lezioni di amministrazione virtuosa della cosa pubblica e del bilancio dello stato. Angela Merkel è il ritratto vivente di quest’attitudine sanzionatoria, la sua aria da brava massaia della politica è oggetto nel Bel Paese di commenti irriverenti, che tradiscono, come sempre in questi casi, un senso di inferiorità che si ammanta del suo contrario. Nel mondo anglosassone invece la stessa signora, e la nazione che rappresenta, sono da qualche tempo al centro di un’attenzione di segno opposto. Si moltiplicano le iniziative tese a fornire una narrazione nuova del gigante tedesco: una vera e propria riabilitazione che ha eliminato i luoghi comuni sedimentati a partire dalle due catastrofi belliche del secolo scorso.   Angela Merkel in visita al Deutsche Historische Museum per la mostra: 1914-1918. The First World War   Deutschland è diventata una nazione cool, da scoprire, di cui narrare i grandi meriti culturali del passato ma anche e soprattutto la nuova creatività che sale dal basso, dagli esperimenti di convivenza multietnica, dalle nuove opportunità di lavoro, dall’immagine architettonica delle sue città in continua mutazione, a cominciare dal suo laboratorio di innovazione più spettacolare e amato all’estero che è Berlino. Ed è da Berlino che si può partire per capire quanto la nazione tedesca sia cambiata, e soprattutto se si tratta di vero cambiamento. In Unter den Linden Nr 2 si trova il “Zeughaus”, l’arsenale di Berlino costruito in stile barocco da Federico I di Prussia, elettore del Brandenburgo, tra il 1695 e il 1730. Oggi è la sede del Deutsches Historisches Museum, che ha ospitato da maggio a novembre dell’anno scorso una grande esposizione sulla Prima guerra mondiale. Per accedere all’ala dell’edificio che ospita la mostra si passa necessariamente attraverso lo splendido cortile interno, le cui finestre del pian terreno sono sormontate dalle 22 teste di guerrieri morenti scolpite in pietra arenaria dal grande scultore barocco Andreas Schlüter.   Teste mozzate dai vincitori prussiani, allegorie della vittoria contro turchi e francesi, che tuttavia di allegorico hanno poco: domina infatti la potenza dell’espressione concreta dei volti, la sofferenza che deforma le fisiognomie, le mascelle spalancate, l’orrore negli occhi nell’attimo che precede la fine. La potenza militare del nuovo regno di Prussia riservava ai suoi nemici il terrore: la consapevolezza di avere osato l’impossibile e lo strazio del corpo come inevitabile punizione. La potenza icastica dei guerrieri morenti è il viatico a una mostra che fa i conti con un passato in cui il sogno prussiano si è infranto nelle trincee di Verdun. Oggi, a distanza di cento anni, la Germania si vuole, e si sa, diversa e dunque presenta quel lontano passato come una specie d’inganno collettivo, in cui le singole nazioni coinvolte, tutte, e non solo quella tedesca, commisero errori di valutazione, o proiettarono attese di riscatto politico e di crescita economica. Ma altrettanto chiaramente spazza via il dogma della guerra inevitabile sottolineando la responsabilità determinante della propria classe dirigente.   Le ‘liturgie nazionali’, come le chiama Oliver Janz, giovane storico tedesco, autore del saggio 1914 – 1918. La Grande Guerra, tradotto di recente da Einaudi, erano generosamente presenti in tutti gli stati europei, ovunque “lo spazio pubblico fu riempito di monumenti, che celebravano monarchi, soldati, uomini di Stato, eroi nazionali e padri fondatori come Nelson, Bismark o Garibaldi”. La liturgia tedesca non era necessariamente più marcata di altre ma in Germania, e in Austria, l’idea dell’inevitabilità della guerra si era propagata dalle gerarchie militari fino ai soldati semplici, dalla politica a tutti gli strati della popolazione.   Bandiera Tedesca Imperiale, 1914, Parigi, Musée de l'Armée   È questa molla che spiega l’attivismo germanico e il successivo fallimento della strategia militare impostata su una guerra rapida sul fronte occidentale per poi agire vittoriosamente su quello orientale. La Germania che si presenta nella mostra di Berlino è dunque una nazione che fu sconfitta dagli errori dei suoi generali, ma più ancora dalla sua ubriacatura ideologica: da un nazionalismo innervato di darwinismo sociale, come spiega bene Janz nel suo studio, dove la sopravvivenza del più forte è anche quella del migliore. Da un lato, l’ideologia dall’altra gli oggetti della guerra, le sue tracce materiali: i luoghi, le armi, le suppellettili, i reperti, i mezzi, le tecnologie. E i milioni di mutilati e di morti di tutte le nazioni coinvolte perché la guerra, questo il messaggio, non è stata una fatalità inevitabile ma il risultato delle valutazioni superficiali tanto dei militari quanto dei politici e di una lunga serie di errori.   La mostra di Berlino dice molto della Germania di oggi: una nazione che ha rinunciato consapevolmente e programmaticamente a una ‘verità nazionale’ per adottare un punto di vista ‘globale’ sotto le insegne di una storiografia che si presenta come ‘scientifica’. Il risultato appare tranquillizzante, vuole esserlo, quindi grado zero della retorica e diplomatica distribuzione degli attori sulla scena, ciascuno con i suoi interessi e con il suo fardello di colpe. Persino le interpretazioni, le letture, le prospettive appaiono dimesse, minimaliste, quasi reticenti. S’impone lo stile della Germania di questi anni, quello impersonato perfettamente dalla Cancelliera Angela Merkel: concretezza, moderazione, fine delle grandi narrazioni e del “Grande Stile”.   A pochi passi dallo Zeughaus, scendendo sulla sponda sinistra della Sprea, c’è l’ingresso nel “DDR Museum”. Ancora storia tedesca, quarant’anni dell’altra Germania, quella comunista sotto l’ala protettrice dell’Unione Sovietica, la Repubblica Democratica Tedesca. Di quella storia, finita con l’abbattimento del Muro nel 1989, il museo esibisce con dispendio di tecnologia interattiva la cultura materiale, gli stili di vita, il mondo del lavoro, la scuola, il tempo libero, il suo motto è “La storia toccata con mano”. La rappresentazione scenica, che non disdegna trovate a effetto, risulta efficace. Il ‘teatro’ della DDR si popola di figure e di oggetti dai tratti grotteschi, comici, ridicoli. Come la vecchia Trabant esposta, e in cui si è invitati a entrare. L’auto per i tedeschi è ancora oggi la concentrazione simbolica del desiderio appagato, il premio dell’operosità senza cedimenti, come mostra il parco automobilistico in circolazione per le sue strade e autostrade; è la cifra morale del buon cittadino. Così è stato fin dagli anni Cinquanta, tanto all’Ovest quanto all’Est.   DDR Museum, Berlino   La Trabant era l’auto per eccellenza della DDR, uno status symbol, acquistarla richiedeva anni di sacrifici. Nelle sue linee esageratamente semplici, all’insegna di una funzionalità assoluta, palesava tutta la mediocrità estetica della nazione. Il ‘design’ era un lusso da capitalisti. Auto, case, edifici pubblici dovevano uniformarsi a un criterio di razionalità elementare, fatto di linee rette orizzontali e verticali e di una gamma di colori estremamente limitata, tale da impedire qualsiasi tentativo di individuazione. L’uniformità geometrica e cromatica era una sorta di equivalente figurale della virtù politica, della superiorità morale dello stato socialista contrapposto all’anarchia degli stili e al protagonismo individuale dell’Occidente capitalistico.   Usciti dalla Trabant, nella mostra, s’incontrano gli altri ‘mondi della vita’ di quella nazione: la fabbrica, la scuola, i luoghi della cultura, i teatri, il cibo. La trovata più spettacolare del museo è il ristorante, dove gli ospiti si trovano tra le mani una carta con i cibi tipici della Germania comunista: il ‘Ketwurst’, l’Hot dog dell’Est e poi la celebre cotoletta alla contadina del Meclemburgo, e la ‘Grilletta’ in tutto identica all’Hamburger ma guai a usare il nome americano.     A ben vedere nel DDR Museum si coglie sotto traccia una strana combinazione di spettacolarità e malinconia. La domanda che aleggia nell’aria è: perché la storia ha dovuto prendere quel corso, si poteva evitare? Perché quei diciassette milioni di tedeschi nati nella parte sbagliata della nazione hanno dovuto subire decenni di angherie, di controlli quotidiani, d’ipocrisie ideologiche funzionali ai disegni egemonici dei sovietici? Come se alla fine a pagare le colpe dei tedeschi fossero rimasti solo loro, passati da una dittatura all’altra senza soluzione di continuità.          In realtà, le grandi questioni della storia rimangono sullo sfondo, i curatori del museo sono più interessati agli effetti comici, come ad esempio il goffo tentativo di instaurare una moda femminile comunista in grado di contrapporsi a quella capitalistica dell’Occidente. E così gli spazi pubblici, le fabbriche, i luoghi della vita associata, le case private, tutto doveva competere con l’altra Germania sul terreno di un confronto etico: a Est la distribuzione delle risorse secondo il bisogno, livellando i salari e l’offerta di servizi dello stato, a Ovest la diseguaglianza dei poveri e dei ricchi.   In questo mondo costruito e pianificato a tavolino, gli ideatori del museo non ci fanno entrare per la porta dell’ideologia, ma attraverso l’esperienza sensoriale: si entra nelle case private, si vedono gli oggetti della vita quotidiana, i cibi sulle tavole apparecchiate, se ne immaginano gli odori, in un gioco continuo tra il virtuale dei filmati e il reale degli oggetti disposti nelle sale. Sembra quasi di entrare in una IKEA dell’Est in cui non solo c’è la casa ma anche la scuola, l’ufficio pubblico, il teatro, la birreria.   Il visitatore deve poter provare le stesse sensazioni di chi ha vissuto l’esperienza dello stato socialista. Conta l’aisthesis, la percezione sensoriale; il logos, la spiegazione è il criterio della vecchia tradizione museale ormai travolta dalla spettacolarizzazione dei nuovi allestimenti. La storia complessa e contraddittoria di una nazione viene scomposta nelle linee semplici di una commedia di costume, in cui i cattivi sono stati sconfitti dalla loro stessa stupidità. Per molti anni quella vicenda era stata rappresentata in Occidente come la tragedia di un popolo privato delle sue libertà elementari, con i suoi disperati tentativi di fuga e l’ordine di sparare dato ai gendarmi che controllavano il confine con la Repubblica Federale. Oggi quella storia è rappresentata come una grande farsa su cui venticinque anni fa è calato il sipario, uno spettacolo per turisti in cerca di emozioni, da gustare tra una visita a un museo e un giro in battello sulla Sprea.   Forse le forme dell’elaborazione del lutto passano anche attraverso la comicità, il ridicolo, l’assurdo. Ma se i tedeschi si raccontano oggi quella storia come se assistessero a una commedia verrebbe da ricordare la frase di Francis Bacon, secondo cui nel teatro della vita umana solo a dio e agli angeli è concesso di fare da spettatori.   All’indomani del crollo dell’altra Germania, nel clima di euforia che ne seguì, Hans Mayer ricordava nel suo La torre di Babele (1991) che quella tragicommedia era nata sotto auspici assai diversi: dopo il 1948 molti intellettuali – il più noto era Brecht oggi di nuovo celebrato almeno in Italia – pensarono che dalle rovine della Germania nazista si potesse edificare una società senza classi, culturalmente rigenerata e libera di progettare il suo futuro. Si sa come finì: la torre crollò nel giro di pochi anni. La distrussero, scrive Hans Mayer, i politici asserviti agli interessi di Mosca: il compagno Ulbricht e poi il suo successore Honecker. E l’utopia fece la fine di tutte le utopie: divenne la foglia di fico che doveva coprire gli interessi della potenza egemone.   Se i tedeschi di oggi si sono votati senza riserve alla Realpolitik, se sono i più strenui difensori dell’ortodossia economica europea ciò è dovuto non da ultimo al fatto che più di altri in Europa hanno toccato con mano il crollo delle ideologie del Novecento. Nel clima di rassegnazione generale che oggi domina in Europa i tedeschi sanno esibire una dose di realismo che sfiora il cinismo: per loro la storia come la natura non fa salti e le fughe in avanti, i passi più lunghi della gamba, il tenore di vita al di sopra delle proprie possibilità – sia per il singolo come per le nazioni – prima o poi presenta il conto e di solito comporta la perdita della libertà.     Berlino e il suo passato. Il flâneur a spasso per Berlino oggi incontra uno spazio urbano paradossale: accanto alle grandi sperimentazioni architettoniche degli ultimi vent’anni – il Sony Center e gli edifici di Potsdamer Platz, i nuovi musei, il quartiere governativo – si trovano i monumenti del passato riportati a nuova vita, ricostruiti con acribia filologica, il Reichstag, il Duomo, i musei della Museumsinsel. Al di là della loro perfezione, queste ricostruzioni sembrano esibire in filigrana il loro passato di rovine. Il paradosso sta proprio in questo: più sono meticolosi i rifacimenti e più è evidente lo stato di distruzione da cui provengono. Quest’autenticità inautentica semina un sottile senso di morte in ciò che oggi vuole essere nuova vita.   E getta qualche dubbio sulla diagnosi lusinghiera che dei tedeschi ha dato recentemente George Packer sul “New Yorker” in un ritratto della Germania di Angela Merkel che ha fatto il giro del mondo. “Come uno scrupoloso paziente in analisi, – scrive Packer, – la Germania ha portato in superficie il suo passato, l’ha discusso infinitamente e l’ha accettato, e questo lavoro di molti anni ha consentito al paziente di vivere una successful new life.”     Un’intera generazione d’intellettuali e scrittori, da Günter Grass a W. G. Sebald, da Heinrich Böll a H. M. Enzensberger ha ricordato alla nazione tedesca, nata dopo la seconda Guerra Mondiale, che il suo successo economico e la sua tranquillità piccolo borghese è stata costruita sulla rimozione del suo atroce passato. Cos’ha determinato ora la grande svolta di cui parla Packer sulle colonne del New Yorker? È vera svolta? È davvero una successful new life? O è cambiata semplicemente l’immagine della Germania all’estero, soprattutto nel mondo anglosassone? A questo riguardo diventa interessante la visita della mostra in corso al British Museum, “Germany: Memories of a Nation”, dove i tedeschi incassano oggi con moderata soddisfazione il riconoscimento di nazione non soltanto definitivamente riscattata dal suo passato, ma anche, e forse per la prima volta, ‘sentimentalmente’ vicina alle altre nazioni europee.   Quanto alla sua capitale esistono oggi molte Berlino: non solo quella monumentale della memoria o quella delle archistar. Intorno a questa capitale sta crescendo la città delle nuove comunità sociali, fatta di giovani e meno giovani, tedeschi e stranieri provenienti da tutto il mondo, precari per necessità e vocazione, artisti, studenti, musicisti, artigiani, un tessuto di nuove relazioni e nuove sinergie, che rappresenta un potenziale ancora tutto da esplorare. Da un lato, i vecchi emigrati lavoratori, turchi, italiani, greci, dall’altra gli ex studenti Erasmus dal Sud Europa, che dopo la laurea inutile nel loro paese sono ritornati e ora campano di lavori precari tra call center e pizzerie. E infine un ceto di neoborghesia colta e snob, bio-responsabile con l’auto ibrida che proviene dall’Occidente ricco, americani, canadesi, inglesi, francesi. Un melting pot in bilico tra neoproletariato etnico e nuovo ceto medio che si è insediato nei quartieri che oggi fanno tendenza: Neuköln, Kreuzberg e Prenzlauer Berg.   Il resto della Germania osserva con rassegnata diffidenza questo esperimento sociale: non è l’immagine che essa ha di sé, e forse nemmeno quella che vorrebbe dare al mondo, ma sono una certa Europa e America intellettuale che la vogliono vedere così e la politica tedesca asseconda ed esporta volentieri questo ritratto inedito della nazione. Mostre Politica Storia Roberto Gilodi TAGGED: Bertolt Brecht , Francis Bacon , W.G. Sebald , Angela Merkel , Gunther Grass , Federico I di Prussia , Oliver Janz , Hans Meyer , Heinrik Böll , H.M. Enzensberger , Saggio , British Museum , DDR Museum , Zeughaus , Deutsches Historisches Museum , Germany: memories of a Nation , Germania , Berlino , Realpolitik , 1914-1918 , La Grande Guerra , La torre di Babele , Città , Memoria , Società , In primo piano , arti , Prima guerra mondiale View PDF Escludi da Homepage Includi Cognomi e nomi autori Roberto Gilodi
doppiozero lancia la libreria
doppiozero lancia la libreria La redazione Gio, 16/02/2012 - 12:39 Un anno fa, doppiozero si formava come associazione culturale non-profit impegnata in un progetto preciso: utilizzare le potenzialità della rete per far crescere nel nostro paese un’idea di cultura fondata sull’accessibilità e la condivisione.   Nell’avventura di doppiozero c’è ora un nuovo capitolo: i libri. Siamo diventati editori e nella nostra libreria digitale offriamo ebook in formato aperto, leggibili cioè su tutti i dispositivi, senza restrizioni, e libri in pdf, da scaricare ed eventualmente stampare.   Una libreria dove pubblicare in modo nuovo, lontano dai circuiti tradizionali. Un luogo in cui trovare libri di qualità, scoprire nuovi autori, rileggere testi dimenticati. E dove i lettori possono scambiarsi opinioni, darci suggerimenti, aiutarci a crescere.   Acquistando i nostri libri si diventa soci di doppiozero. L’acquisto si fa per mezzo di una tessera ricaricabile (dal valore di 10, 25 o 50 euro) che vale anche come iscrizione all’associazione. Quando il credito iniziale viene esaurito, la tessera si ricarica con un semplice pagamento attraverso PayPal.   I prezzi degli ebook di doppiozero sono simbolici: si trovano molti titoli a 1 euro o poco più; ma ci sono anche titoli in regalo, perché come in ogni comunità di amici ci piace fare doni a chi ci sostiene.   Nella libreria di doppiozero ci sono libri scritti dai nostri autori e altri realizzati in collaborazione con editori tradizionali. La lanciamo con un racconto di Gianni Celati, la versione ebook del blog di Ai Weiwei (la versione su carta esce in contemporanea per la casa editrice Johan & Levi), una raccolta di saggi sulla visione contemporanea di Marco Belpoliti, un saggio su Ciprì e Maresco di Nicola Lagioia.   Nei prossimi mesi usciranno una raccolta di saggi di Gianfranco Marrone sui media, un testo sulla Grande Madre di Ernst Bernhard, un racconto/saggio sulle Alpi di Piero Zanini, una raccolta di testi sull’arte di Elio Grazioli, un saggio su Shakespeare e la musica del Novecento di Luca Scarlini, un saggio su Atteone di Francesco M. Cataluccio, una raccolta di racconti di nuovi autori colombiani curata da Fabio Rodríguez Amaya (in collaborazione con la rivista Nuova prosa), una selezione di saggi de Il costume di casa di Umberto Eco (in collaborazione con la casa editrice Bompiani che ne farà la versione cartacea), un saggio su arte e letteratura di Stefano Chiodi, testi di Michele Dantini, Riccardo Venturi, Elena Volpato e tanti altri, tra narrativa e saggistica.   Insieme a tutte le altre nostre iniziative, la libreria è per doppiozero un’occasione di condivisione e di crescita comune, un impegno con i nostri lettori, un’anticipazione di futuro per la cultura.   I libri si vedono qui La tessera si compra qui Libri doppiozero TAGGED: Marco Belpoliti , Gianni Celati , Ai Weiwei , Nicola Lagioia , libreria , libri , In primo piano View PDF Escludi da Homepage Includi Cognomi e nomi autori doppiozero
I libri di doppiozero
I libri di doppiozero La redazione Gio, 16/02/2012 - 12:01 Inauguriamo oggi la nuova libreria doppiozero, questi sono i primi quattro ebook disponibili. La tessera per acquistare i libri si compra qui.   -------------------------------------------------------------------------------- Ai Weiwei Il blog. Scritti, interviste, invettive 2006-2009   Iniziato nel 2006 e chiuso d’autorità tre anni dopo, il blog dell’artista e architetto Ai Weiwei si è imposto all’attenzione internazionale come una delle testimonianze culturali e politiche più coraggiose della Cina contemporanea.   “I blog non riproducono la realtà, la producono. Ai Weiwei è senz’altro una delle guide migliori in questo territorio sconosciuto e grazie ai suoi post, raccolti giorno per giorno,il lettore vedrà il mondo sotto una luce nuova, assolutamente inedita.” Hans-Ulrich Obrist   “Un libro dal valore inestimabile, come prospettiva critica e come cronaca, e nello stesso tempo un contributo straordinario sul paesaggio politico della Cina contemporanea”. David Roberts   --------------------------------------------------------------------------------   Marco Belpoliti Visioni   Una raccolta di articoli e brevi saggi sul vedere il contemporaneo: dall’architettura al design, dalla grafica all’arte, dalla fotografia alla percezione.   “Per orientarsi in questo mondo caotico, frammentario, complesso, che abitiamo, bisogna essere dei visionari. Ovvero, vedere al di là delle apparenze e persino della realtà stessa. Ci serve un vedere attraverso, oltre, ma anche uno stravedere, un vedere troppo, nonostante i suoi rischi. Solo così si può cercare di riconoscere un ordine – superiore, inferiore o entrambe le cose non importa – nel mondo che ci circonda, in cui pensieri, parole, oggetti si sommano e si sovrappongono in un caos mentale e visivo incredibile.”   --------------------------------------------------------------------------------   Gianni Celati Il caso Muccinelli   Un racconto divertente, un giallo di provincia surreale.   “Forse il caso più strano in tutte le cronache di quei tempi nella nostra cittadina è il caso Muccinelli, che ora cercherò di rinverdire. Un giorno sbarca nella nostra stazione un tal Muccinelli, età sui quaranta, mandato dal ministero degli Interni per svolgere indagini. Si presenta alle autorità, prefetto, sindaco, alti dignitari. Nessuno sa cosa debba indagare, ma il prefetto si mette a sua disposizione, trattandosi d’un agente di Stato. Era il tipo di detective uguale a come si può immaginarlo: impermeabile stretto in vita, cappello sulle ventitré, sigaro spento in bocca, taccuini per prendere appunti. Di nome Muccinelli, minuto e basso come l’omonimo giocatore di calcio, ai tempi.”   --------------------------------------------------------------------------------   Nicola Lagioia In memoria di Ciprì e Maresco   Un testo critico sul lavoro televisivo, documentaristico e filmico del geniale duo Ciprì e Maresco.   “Agli inizi degli anni Novanta, quando la televisione pubblica italiana non era irreversibilmente comatosa come oggi, sugli schermi di una Rai Tre allora diretta da Angelo Guglielmi iniziarono a comparire degli strani frammenti filmati. Si trattava di brevi scenette in bianco e nero che – ad avere un occhio allenato – sembravano una summa perfetta del cinema di Pasolini e di quello di Buñuel, dell’inquietante bellezza dell’epoca del muto (da Buster Keaton in giù) e dell’umanità stremata del Beckett della Trilogia.” Libri doppiozero TAGGED: Marco Belpoliti , Gianni Celati , Ai Weiwei , Nicola Lagioia , Doppiozero , libro , libreria , In primo piano View PDF Escludi da Homepage Includi Cognomi e nomi autori doppiozero