
Alfredo M. Bonanno - Esclusi e inclusi
Biblioteca anarchica - Friday, June 10, 2022Titolo: Esclusi e inclusi
Data: 1999
Origine: Consultato il 20 maggio 2022 su edizionianarchismo.net
Fine delle ideologie, ma non del tutto.
Nessun apparato politico ne potrà mai fare a meno completamente. Le trasformazioni sostanziali nella struttura produttiva del capitale, trasformazioni che, a livello mondiale, si sono verificate negli ultimi dieci anni, hanno improvvisamente svuotato di significato quasi tutte le coperture ideologiche esistenti. Con ciò non si può dire che la funzione politica, come azione gestionaria e repressiva dello Stato, sia diventata più aderente ai reali bisogni delle persone. Subito dietro i vecchi fantasmi ne sono sopraggiunti altri, dei quali non sembra agevole individuare le caratteristiche, essendo per altro coperture ideologiche ancora in formazione. Possiamo solo dire, allo stato attuale delle cose, che il loro obiettivo è quello di sempre, premere sui sentimenti e sugli istinti irrazionali, per sollecitare comportamenti favorevoli al mantenimento dell’ordine imposto dalla classe dominante.
Fra i movimenti più immediati, balzati subito al centro delle cronache, c’è il vecchio miraggio della libertà, imbalsamato nelle trappole logiche dell’antico liberalismo, e rispolverato in tutta fretta per dare fondamento alle più bieche operazioni di gestione dei nuovi mercati all’Est. Che ogni liberalismo si basi su di una discriminazione precisa tra due categorie di persone, quella che può godere dei diritti umani, politici in primo luogo, ma anche più immediatamente concreti come ad esempio quello alla vita, e quella che questi diritti li ha in maniera ridotta, quindi suscettibile di eventuale sospensione o soppressione.
Storicamente non occorre qui ricordare che Locke, paladino della libertà politica, doveva la sua fortuna privata agli investimenti fatti nelle compagnie inglesi che lavoravano da quasi un secolo nella tratta degli schiavi, e che la stessa rivoluzione inglese, da cui era nata l’idea di liberalismo politico, aveva considerato una grande conquista la vittoria sulla Spagna in quanto con la pace di Utrecht aveva ottenuto la distruzione del monopolio spagnolo della tratta degli schiavi e iniziato in proprio e su vasta scala questa lucrosa attività.
In realtà, osservando bene, la nuova copertura ideologica, così come sta per essere velocemente predisposta, alla meno peggio, dalle organizzazioni accademiche che se ne occupano, consiste in un innesto dell’antica ipocrisia liberale nel corpo sociale che oggi appare quanto mai disgregato. Di quelle antiche chiacchiere una sola cosa diventa importante, e di fatto lo è al di là di ogni dubbio. Gli uomini sono uguali solo in linea di principio, in pratica sono divisi in due categorie, quelli che hanno diritti e quelli che non ne hanno. Quando, per diritti qui s’intende la possibilità sostanziale di accedere alle fonti della ricchezza, di determinare movimenti trasformativi atti a ridurre le differenze nella distribuzione del reddito, in altre parole, tutto quello che permette di sperare in un avvenire migliore e meno difficile del presente.
Che questi nuovi movimenti politici, in pratica orientati a livello mondiale verso una fase di apertura gestionaria, definibile come possibile partecipazione degli strati inferiori alle condizioni di vita degli strati superiori, possano determinare una riduzione dell’apparato di potere complessivo degli Stati, resta da verificare, mentre per un altro verso è in atto l’effetto ideologico di questa prospettiva, effetto che contribuisce a creare le condizioni migliori per la strutturazione produttiva del mondo in una prospettiva postindustriale.
Il punto essenziale di questo processo è che soltanto una parte, e ben ristretta, dei produttori potrà accedere a condizioni di vita umane, intendendo per condizioni umane una sempre più ampia corrispondenza tra occasioni offerte dal sistema statale e capitalista nel suo insieme e possibilità di sfruttarle. Il resto, la grande maggioranza, dovrà trovare posto nella separazione, in quel lavoro “sporco” che gli antichi liberisti, come ad esempio Mandeville, accomunavano a quello degli schiavi. Non “sporco” nel senso dell’antico abbrutimento fisico, ma “sporco” nel senso vero e proprio del termine, nel senso cioè che sporca l’intelligenza, abbrutendola, abbassandola, riducendola a livello delle macchine, snaturandola della qualità più caratteristica dell’uomo, l’imprevedibilità.
In questo contesto, in cui l’ammodernamento ideologico cammina di pari passo con le profonde trasformazioni nella struttura produttiva, per cui ne viene fuori un sistema coordinato di processi reali e immaginari tutti basati, sincronicamente, sulla flessibilità, sull’adattamento, sulla discussione democratica e assembleare, e sul rifiuto critico di ogni autorità che non sia quella efficientista, l’antica funzione dello Stato, accentratore della gestione e della repressione, è destinata ad affievolirsi.
E questo affievolimento è nell’ordine delle cose, nello spirito dei tempi, se così vi piace.
Ma qui occorre chiedersi: È questo affievolimento un fatto positivo? La risposta, almeno per gli anarchici, dovrebbe essere positiva. E tale sarebbe stata se non fossero incorsi, in tempi recentissimi, riflessioni che ci pare utile sottolineare qui.
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