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Debito pubblico e colesterolo
Anche la matematica è un’opinione. Si può giungere a questa conclusione dopo aver letto la notizia che il debito pubblico italiano a maggio 2025 è diminuito di 10 miliardi di euro rispetto al mese precedente. Lo comunica la Banca d’Italia nel periodico bollettino “Finanza pubblica: fabbisogno e debito”. Quindi si potrebbe tirare un sospiro di sollievo: almeno per questa volta il debito è sceso. Oltre a stappare una bottiglia per festeggiare, ci si potrebbe domandare che cosa può essere accaduto di così significativo per invertire la persistente tendenza all’aumento del debito nazionale. Dando un’occhiata ai dati forniti dalla Banca d’Italia si può verificare che il debito ad aprile ammontava a 3.063 miliardi di euro, mentre a maggio è sceso a 3.053 miliardi. Quindi 10 miliardi in meno. Ma se contemporaneamente si guarda il dato della liquidità del Tesoro, emerge che ad aprile la cassa consisteva in 69 miliardi di euro, mentre a maggio è scesa a 46 miliardi. Pertanto, nella colonna che riporta il dato del debito netto (cioè il debito lordo meno la liquidità disponibile) il risultato è che ad aprile il debito è stato di 2.994 miliardi e a maggio di 3.007 miliardi di euro. Insomma, il debito effettivo nell’ultimo mese non è diminuito di 10 miliardi di euro, ma è aumentato di 13 miliardi. E’ facile comprendere che se si utilizzano i fondi presenti in cassa non c’è bisogno di indebitarsi, ma in questo modo si è diventati più poveri di risorse a disposizione. Il risultato di bilancio è comunque negativo. A questo punto non ha senso stappare bottiglie. Invece ci si potrebbe chiedere come sia possibile che (quasi) tutti i media abbiano riportato una notizia formalmente vera (il debito pubblico lordo è diminuito), ma sostanzialmente falsa (perché il debito effettivo è aumentato). Anche facendo il confronto con il mese di maggio dell’anno precedente, si può verificare che sono notevolmente cresciuti sia il debito netto (+115 miliardi di euro) sia il debito lordo (+129 miliardi). In sostanza la media dell’aumento del debito è di una decina di miliardi ogni mese. Stando così le cose, sarebbe opportuno che gli organi di informazione evitassero di fornire notizie fuorvianti. Non si tratta di censurare il dato della diminuzione mensile del debito di 10 miliardi di euro, ma di accompagnarlo con qualche riga di analisi e di commento, che fornisca gli strumenti per comprendere la reale situazione del debito pubblico italiano. L’osservatorio sui conti pubblici italiani dell’Università cattolica di Milano in un recente report ha scritto: “gli economisti in generale suggeriscono di avere un debito non troppo alto per lo stesso motivo per cui i cardiologi suggeriscono ai loro pazienti di ridurre il colesterolo: è un fattore di rischio”. Purtroppo l’Italia è un paziente che non ascolta il cardiologo. Così ciclicamente succede che il malato viene messo a dieta o addirittura viene ricoverato per eccesso di debito. Anche in questo settore manca un’adeguata prevenzione. E talvolta anche un’adeguata informazione. Rocco Artifoni
Ricchezza privata e debito pubblico
Ormai siamo abituati ad attenderci che ogni anno il debito pubblico dello stato italiano cresca in valore assoluto. Infatti, ecco i dati – forniti da Banca d’Italia – degli ultimi anni: 2.410 miliardi di euro nel 2019, 2.573 miliardi nel 2020, 2.678 miliardi nel 2021, 2.758 miliardi nel 2022, 2870 miliardi nel 2023 e 2967 miliardi di euro nel 2024. In 5 anni il debito è aumentato di 557 miliardi di euro (+ 23,1%). Nell’ultimo anno è cresciuto di 97 miliardi (+ 3,4%). Quello che raramente viene evidenziato è l’andamento della ricchezza finanziaria degli italiani. Ecco i dati, forniti dalla Federazione Autonoma Bancari Italiani (FABI): 4.664 miliardi di euro nel 2019, 4.800 miliardi nel 2020, 4.999 miliardi nel 2021, 5.138 miliardi nel 2022, 5.781 miliardi nel 2023 e 6.031 miliardi di euro nel 2024. La ricchezza finanziaria dei cittadini italiani negli ultimi 5 anni è aumentata di 1.367 miliardi (+ 29,3%). Nell’ultimo anno è cresciuta di 250 miliardi (+ 4,3%). Il debito pubblico continua ad aumentare perché lo stato italiano ogni anno chiude il bilancio in passivo nel confronto tra entrate (soprattutto imposte) e uscite (compresi gli interessi sul debito). Al contrario, gli italiani – considerati complessivamente – ogni anno si ritrovano con un bilancio positivo tra entrate (inclusi gli interessi sui titoli di stato) e uscite (tasse comprese). L’aumento della ricchezza privata non riguarda tutti i cittadini, ma soltanto i più abbienti, perché le statistiche mostrano come negli ultimi anni in Italia siano aumentate le povertà e le disuguaglianze. Analizzando in dettaglio i dati forniti dalla FABI, i maggiori aumenti di ricchezza in percentuale negli ultimi 5 anni si rilevano nei derivati e nelle stock option (+ 1.277%), nei titoli di stato (+ 84%) e nelle azioni (+ 73%). È evidente che è soprattutto chi dispone di capitali da investire che si è arricchito, confermando il detto che i soldi producono soldi. Questi dati implicitamente mostrano che l’attuale sistema fiscale è iniquo, poiché le imposte sui redditi da capitali sono inadeguate. Negli ultimi decenni il legislatore italiano ha introdotto sempre di più forme di tassazione separata, con imposte fisse e con ricavi non cumulabili. In questo modo è stata sottratta al fisco una parte significativa del gettito, creando forti disparità tra cittadini a parità di reddito. Questa riduzione delle entrate fiscali ha contribuito all’aumento del debito pubblico e anche alla crescita della ricchezza privata soltanto di alcuni. È noto ad esempio che l’aumento del debito statale implica una crescita della spesa per interessi da versare a chi acquista i titoli di stato. Questo meccanismo sottrae risorse alla spesa pubblica (per la sanità, per la scuola, ecc.), incrementando la ricchezza di chi detiene i titoli pubblici. In sintesi, lo stato si impoverisce e alcuni cittadini si arricchiscono. Un osservatore esterno e neutrale a rigor di logica potrebbe ipotizzare che per evitare la crescita del debito pubblico si dovrebbero limitare gli aumenti di ricchezza degli italiani più abbienti. Matematicamente si può facilmente calcolare che, se negli ultimi 5 anni la ricchezza degli italiani fosse aumentata “soltanto” di 810 miliardi di euro, destinando 557 miliardi di euro allo stato, il debito pubblico non avrebbe subito aumenti. Evidentemente, a fornire queste risorse dovrebbero essere proprio quelli che hanno beneficiato degli aumenti. Tutto questo sarebbe sensato se il debito pubblico venisse percepito come debito di tutti, anzi come un’eredità negativa che non si dovrebbe lasciare alle prossime generazioni. Invece, si ragiona in altro modo: la ricchezza è privata mentre il debito è pubblico, quindi quest’ultimo è un problema dello stato e non del contribuente. Resta il fatto che la ricchezza finanziaria privata degli italiani è più del doppio del debito pubblico dell’Italia. Di fronte a questi dati una riforma fiscale si dimostra sempre più necessaria. In realtà molti politici fanno a gara nel proporre tagli alle tasse, evitando di considerare il problema del debito pubblico. Perché i cittadini che pagano le imposte (e anche gli evasori) votano, mentre le future generazioni non possono recarsi alle urne. Pertanto, si persiste nel circolo vizioso di ridurre le imposte private, aumentando di fatto il debito pubblico. La Costituzione italiana prescrive la solidarietà come dovere inderogabile. Ne consegue che chi ha di più potrebbe e dovrebbe dare più risorse alla collettività, anche per sostenere chi ha di meno. Nel frattempo, sarebbe opportuno che chi ha di meno smettesse di votare per chi ha di più. La democrazia senza equità rischia di essere un regime ingiusto. Rocco Artifoni