Ucraina, la guerra erode la democrazia, la libertà e i diritti dei lavoratori
Durante l’incontro del 26 agosto con le sindacaliste e colleghe
dell’Organizzazione Regionale di Odessa del Sindacato dei lavoratori
dell’Istruzione e della scienza dell’Ucraina ho avuto un fitto scambio di
informazioni e commenti e trovato punti in comune e differenze: l’aumento di
anno in anno del lavoro burocratico (una collega ha usato un termine ucraino che
giustamente il correttore automatico ha tradotto in “scartoffie”), un lavoro di
cui nessuno di noi vede l’utilità dal punto di vista didattico, ma una forma
abbastanza esplicita di aziendalizzazione della nostra professione, adottando
sistemi per verificare la “produttività” del nostro lavoro e per aumentare il
controllo da parte del potere politico sulla scuola, sempre guardata con estrema
diffidenza da ogni governo.
Al di là delle chiacchiere e delle belle parole, sia in Ucraina che in Italia,
il nostro lavoro gode di scarsa considerazione sociale e la causa è facile da
trovare: in un sistema come il nostro il successo economico è il primo e il
principale metro di giudizio delle persone: “Un mafioso conta più di un bravo
insegnante” ho detto a un certo punto.
Alcune informazioni mi hanno stupito: le donne vanno ancora in pensione a
sessant’anni, invece che ai nostri sessantasette. In Ucraina non esistono classi
pollaio: il numero massimo di alunni per classe è venti e, immagino nei villaggi
rurali, può scendere fino a cinque alunni.
Mi hanno chiesto se da noi è possibile un anno sabbatico retribuito, un miraggio
anche di molte mobilitazioni in Italia.
A proposito di salario: io nella scuola primaria, dopo 39 anni di servizio, sono
arrivato a prendere circa duemila euro. Qui sembra un’enormità, ma quando ho
spiegato che ho speso circa centomila euro per comprare un appartamento in un
quartiere popolare della periferia di Roma e che devo pagare circa 400 euro
mensili di mutuo…tutto si è ridimensionato.
In Ucraina il salario medio di un insegnante non raggiunge i trecento euro. Una
famiglia monoreddito sarebbe alla fame ed essendo un lavoro anche qui
prettamente femminile la classe sociale di appartenenza dipende dal lavoro del
marito: se il marito ha perso il lavoro, se la famiglia ha figli non
economicamente autosufficienti, un affitto o un mutuo da pagare, si finisce
sotto la soglia della povertà. Insomma, gli insegnanti ucraini vivacchiano o
sopravvivono in una società in cui una nutrita minoranza si sta addirittura
arricchendo grazie all’economia di guerra.
Per il grande amore che tutti nutrono per l’Italia, un vero dispiacere è che un
viaggio da noi risulta proibitivo, a meno di non essere ospitati da parenti che
lavorano qui.
“Come vacanze ci possiamo permettere quindici giorni in tenda in Moldavia o in
Romania” ha detto una collega. Da noi non va poi tanto meglio, ho pensato.
Il vero problema è la guerra: la legge marziale taglia le gambe al sindacato,
che non può organizzare proteste con manifestazione di massa, né tanto meno
scioperare.
Il risultato è che l’ultimo aumento di stipendio risale a prima della guerra e
che da allora l’inflazione ha eroso in maniera sensibile il potere di acquisto
dei salari, in un Paese in cui affluiscono “generose” risorse economiche da
tutto l’Occidente. Peccato che finiscano in armi e più in generale in spese
militari, arricchendo chi fabbrica armi, chi le vende e chi viene corrotto per
comprarle.
Alla fine ho chiesto se potevo fare una domanda scomoda e me l’hanno accordato:
“Cosa potete dirmi sulla strage del 2 maggio del 2014 alla Casa del Sindacato?”.
Una delle sindacaliste ha risposto in russo, dicendo che gli uffici del
sindacato erano chiusi e che non vi sono quindi testimoni diretti dei fatti tra
chi lavorava lì.
Non ho raccolto quindi altre notizie oltre a ciò che già sapevo e che ho
raccontato in un articolo del gennaio scorso, quando ho visitato Odessa per la
prima volta.
Ho domandato se la sede sindacale è ancora utilizzata e ho scoperto che in
realtà due ali laterali (il palazzo ha la forma di una C) non sono state
distrutte dal fuoco e che tuttora ospitano gli uffici delle diverse categorie
dei lavoratori, compresa la Federazione del Sindacato degli Insegnanti. Ho
chiesto di poterla visitare e ci siamo dati appuntamento per il 28 agosto.
Rispetto a gennaio trovo una novità che considero cinicamente provocatoria: una
serie di carri armati è schierata su Campo Kulikovo con i cannoni che puntano
sulla sede sindacale e la scritta indipendenza!
Mi sembra un monito che esprime minaccia e disprezzo per la memoria di ciò che è
accaduto qui; ben altro significato avrebbe avuto disporre i carri armati sul
lato opposto della piazza, come a volerla difendere.
Del resto una minoranza aggressiva e violenta di ultra destra, con
organizzazioni e partitini finanziati dai servizi segreti di una potenza
straniera attraverso un’agenzia tristemente nota nel nostro Paese ha rivendicato
senza mezzi termini la strage. Il sito banderista di Pravyj Sektor, Settore
Destro, descrisse i fatti come “una pagina luminosa della nostra Storia
nazionale”, mentre la parlamentare Svoboda Iryna Farion scrisse: “Lasciate che i
diavoli brucino all’Inferno. I tifosi del calcio sono i ribelli migliori.
Bravi!” Costoro sono quelli che condizionano il presidente, il governo e le
amministrazioni locali. A Odessa sono arrivati a imporre la rimozione della
statua di Caterina la Grande, fondatrice della città.
Disegni e scritte ricordano il rogo e le sue vittime. La vittima più giovane era
un membro della Gioventù Comunista e aveva 18 anni (era nato nel 1996)
Una delle dirigenti del Sindacato di Odessa, di cui ometto il nome, mi ha
accolto nel suo ufficio, che ho raggiunto non senza difficoltà in questo
labirinto di corridoi e stanze. Abbiamo parlato di un sindacato a cui hanno
legato le mani e che fa il possibile e l’impossibile per difendere i diritti dei
lavoratori.
Mi ha confidato che non ha nessun rimpianto per l’era sovietica, che ha
conosciuto e vissuto. L’indipendenza e soprattutto la democrazia e la libertà
sono state conquiste importanti ed irrinunciabili, ma tutto è irrimediabilmente
compromesso con la guerra e la legge marziale.
Ho chiesto notizie del sindacalista Gregory Osovyi, ex Segretario della FPU, la
Confederazione Sindacale Ucraina forte di tre milioni di iscritti, accusato in
modo assolutamente pretestuoso di associazione a delinquere, appropriazione
indebita e riciclaggio, per la vendita di proprietà del sindacato, ma in realtà
per la ferma opposizione manifestata fin dal 2019, quando il governo approvò una
riforma del lavoro iperliberista scritta dal Fondo Monetario Internazionale e
dalla Banca Mondiale. Ora Gregory è libero, ma ha dovuto lasciare il suo posto a
un sindacalista più moderato.
Ho visitato con la guida della dirigente la grande sede del sindacato, che sta
provvedendo a proprie spese a ristrutturarla e a renderla via via agibile, anche
per poter affittare spazi e ricavare nuove risorse per i lavori.
Ho visto l’androne di ingresso, i primi piani e le ali laterali ristrutturate,
già utilizzate o da affittare ad uffici, poi mi ha aperto una porta che nasconde
tutto l’orrore di quel giorno: muri anneriti, finestre divelte e vetri lungo le
scale. Tutto è rimasto come il 2 maggio del 2014, quando la cosmopolita Odessa
capitolò e iniziò la lunga guerra tuttora in corso.
La lenta ma risoluta ristrutturazione di questo luogo della memoria da parte del
sindacato fa onore alle lavoratrici e ai lavoratori che non temono di mostrarsi
bilingue d sono uniti nella difesa dei propri diritti irrinunciabili e
nell’aspirazione a una pace giusta e vera.
Mauro Carlo Zanella