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Campo Estivo 2015 – Aida Camp
PROGRAMMA CAMPO ESTIVO 2015 1 AGOSTO – 15 AGOSTO CENTRO AMAL AL MUSTAQBAL, CAMPO PROFUGHI DI AIDA, BETLEMME, PALESTINA Anche quest’anno ci sarà il campo estivo presso il centro Amal al Mustaqbal ( Speranza nel futuro), nel campo profughi di Aida, Betlemme. Quando? Dal 1 al 15 agosto. Quanto costa? La quota di partecipazione è di € 350 e comprende vitto e alloggio, presso il centro, ma non include il volo aereo, al quale dovrà provvedere il singolo volontario che deve essere in possesso di un passaporto in corso di validità e preferibilmente senza timbri di paesi arabi, per evitare problemi e troppe domande all’arrivo in aeroporto; inoltre una parte della quota sarà devoluta al sostegno delle attività che giornalmente il centro svolge. Quali attività? Durante le due settimane si avrà la possibilità di conoscere la realtà del campo vivendolo e organizzando, a fianco delle insegnanti, attività ludico creative per i bambini del centro estivo mattutino ( ore 8 – 13); saranno inoltre organizzate visite pomeridiane in altri campi profughi e altri villaggi vicini, come Hebron – Al Khalel, Al Walaja , Gerusalemme est, Nablus ed altri in base alla disponibilità e agli interessi dei volontari, nei quali si incontreranno personalità politiche palestinesi e prigionieri politici. Durante la permanenza al campo, si organizzeranno anche attività di manutenzione del centro e momenti di dialogo e confronto con i ragazzi che lo frequentano per conoscere e scoprire la Palestina. Perché partire? Lo scopo di questo campo estivo è quello di iniziare a farvi conoscere la realtà palestinese, di provare a farvela vivere a 360 gradi, per coglierne le bellezze e le difficoltà, per diventare testimoni della storia e poter raccontare. La vita comunitaria e del campo richiede spirito di adattamento, rispetto delle regole, voglia di mettersi in gioco e disponibilità a vivere situazioni alle volte anche complesse.
Incursioni israeliane ad Aida Camp, 22/02/2015
Il racconto di una recente incursione nel campo profughi e della resistenza degli/delle abitanti Aida Camp, West Bank. 22/⁠02/⁠2015 Ci vengono a chiamare, mentre tutti cominciano a correre e gridare: L’esercito! L’esercito! L’esercito israeliano! Nel mezzo del campo profughi i bambini, i giovani e i loro genitori rompono pezzi di muro e marciapiede per difendersi dall’esercito israeliano. Si nascondono nei vicoli e dietro gli angoli di ogni strada. Gridano, corrono e cominciano a tirare le pietre ai militari che, in una missione silenziosa, sono entrati nel campo profughi Aida con un’operazione finalizzata all’arresto di un palestinese. Tutti lanciano pietre e insulti agli invasori. Nel 2003 Israele ha dato inizio alla costruzione di un muro che oggi cinge d’assedio la città di Betlemme. Un muro di 8 metri d’altezza con 8 punti di controllo di entrata e uscita regolati da Israele. Alcuni palestinesi che vivevano fuori dal Muro hanno perso le loro case e oggi vivono in uno dei tre campi profughi della città: Dehisha (17000 rifugiati), Aida (7000 rifugiati, molti dei quali, in questo momento, stanno affrontando l’esercito) e Alzza (1500 rifugiati). Un bambino comincia a gridarmi che vada da lui. Mi avvicino un poco e viene di corsa mentre si segnala il viso e urla in arabo parole che non capisco; contentissimo mi narra a gesti e con imitazioni come ha raggiunto in pieno volto un militare con un sasso. Le pietre difendono e resistono. Il bambino torna a difendersi. I più anziani e i più piccoli con le loro madri si raggruppano nelle case più vicine. Dietro di me ci sono donne palestinesi e sento i loro piccoli piangere. Altri bimbi si avvicinano agli scontri con curiosità, titubanti prendono in mano qualche pietra fino a che i loro genitori giungono a prenderli in braccio o danno loro uno schiaffo per fargli lasciare le pietre e farli ritornare a casa dove, si suppone, dovrebbero stare più al sicuro. Mi avvicino un poco a un uomo che sta spezzando una pietra da lanciare. Sono a due metri da lui. Si sente uno sparo. L’uomo cade. Urla. Non può camminare. L’hanno colpito a una gamba. Una pallottola lo ha perforato proprio sotto il ginocchio. Tutti lasciano le proprie posizioni e corrono ad aiutarlo. Lo caricano e lo portano di corsa all’ospedale. La macchina che funge da ambulanza per raggiungere l’ospedale deve attraversare un parte della strada dove infervorano gli scontri. Inizia a suonare il clacson e schizza via più velocemente che può. Una bambna si mette a piangere, sua madre l’abbraccia e la infila nella casa più vicina. Un secondo combattente cade. Un’altra pallottola nella gamba. Tutti cominciano a correre e gridare con le pietre e la rabbia nelle mani. Difendendo, adesso, altre strade nelle quali l’esercito israeliano cerca di entrare. Mantengono le posizioni. Una strada, pietre, corrono, un’altra strada, pietre, pallottola, corrono. Urla. In una sala di una casa ci sono molti bambini e bambine piccole. Alcuni piangono, altri sono troppo piccoli per capire. Bomba. Bomba. Bomba. Sono di coloro che resistono o dell’esercito? Non lo sappiamo. I bambini urlano, gli adulti li calmano. Un uomo mi grida in arabo: We use stone, stone! All problem and all bomb is always israeli. All we have is stone. Uomini entrano ed escono dalla stanza per informare su quello che avviene fuori.  Senza farsi notare l’esercito israeliano è entrato in una casa del campo dei rifugiati per arrestare un compagno. E’ riuscito a scappare e noi stiamo difendendo il nostro territorio. Adesso i militari stanno girando in borghese per mischiarsi alla folla e fare arresti. Due bambini si mettono a giocare agli scontri. Uno finge di avere un’arma e l’altro di avere pietre. Nessuno dei due cade. Bomba, grida e moltitudini correndo. Di nuovo giunge un uomo e da una notizia in arabo. Ormai si odono lontane le urla, gli scontri si allontanano. Due bimbi si avvicinano per spiegarmi quello che sta succedendo. Parlano solo in arabo. Mi parlano con le mani. Fanno un numero due e si segnalano fra loro. Creano con le mani una pistola lunga e recitano a che uno spara all’altro alla gamba. Continuano a giocare all’occupazione israeliana nelle terre palestinesi. Gli scontri si rifanno vicini, adesso con più violenza. Nuovamente l’esercito ha sparato a un altro uomo alle gambe. Gli abitanti del posto bloccano le strade per non far avvicinar l’esercito. I militari stanno occupando alcune case come base. Già sono sette le persone raggiunte alle gambe dalle pallottole e una donna ha ricevuto l’impatto in pancia. Inoltre si contano 10 uomini e giovani pestati dai militari. Le strade sono piene di luci rosse intermittenti. Ambulanze che raccolgono i feriti e altre che aspettano per soccorrere il prossimo palestinese che abbia bisogno di cure. I giovani corrono quando vedono il laser dei fucili israeliani. Corriamo di strada in strada. Il potere di una pietra non può competere con un’arma da fuoco. Corriamo, dobbiamo uscire dal campo. TRA TRA TRA TRA TRA TRA TRA TRA! Dobbiamo uscire dal campo. Bomba. Dobbiamo uscire dal campo. Fra varie chiamate strategiche tirano fuori una mappa e trovano il cammino più sicuro per arrivare al Beit Jala Hospital per vedere la situazione dei compagni feriti dagli spari. Stanno uscendo dall’ospedale due uomini. Quello a cui hanno sparato al mio lato esce zoppicando con una radiografia in mano. La pallottola non ha raggiunto l’osso, adesso deve ritornare al campo. L’altro esce in sedia a rotelle perché la pallottola gli ha attraversato le due gambe. I muri israeliani ingabbiano i palestinesi che vengono aggrediti costantemente. Le pallottole dell’esercito israeliano colpiscono le pareti delle scuole, delle chiese e delle case dei palestinesi. Perforano gambe per non farle più camminare. I compagni stanno tornando ad Aida Camp.
Aida resiste!
Riceviamo e pubblichiamo un breve testo sui fatti di ieri nel campo profughi di Aida dove la tenacia dei/delle compagn* palestinesi ha tenuto testa ancora una volta al tentativo di invasione dell’esercito occupante. Nei giorni scorsi gli shebab del campo avevano ritrovato delle telecamere di solito utilizzate nei boschi per la visione notturna nascoste nei muri del campo.   Aida oggi.  12 ottobre 2014. Come scudo un cassonetto dell’UN e come armi delle pietre. Nel pomeriggio sono iniziati gli scontri. A differenza degli altri giorni gli shebab sono in tanti e si ritrovano a lanciare pietre contro i soldati israeliani che avanzano verso il campo. Riescono ad entrare ma vengono subito respinti dai ragazzi di Aida. La situazione resta in stallo per un po’: i soldati alla chiave e i ragazzi poco sopra. L’esercito israeliano lancia proiettili di gomma, lacrimogeni e bombe sonore agli shebab ed avanza verso il campo, arrivando vicino alla Moschea e prendendo possesso della casa di Abu Aker. Non si fermano, non si accontentano e continuano  a sparare ferendo un bambino di 11 anni che adesso si trova in rianimazione presso l’ospedale di Beit Jala che, per mancanza di macchinari, sta provvedendo ad un trasferimento. Di seguito un breve racconto della storia del campo a 14 anni dalle seconda Intifada. Aida. Uno dei tre campi profughi di Betlemme nato nel 1949 in seguito alla Nakba del popolo palestinese. Il campo, attualmente costituito da circa sei mila persone, è situato su un territorio di un kilometro quadrato tra la città di Bet Jala e Betlemme. Il campo deve il suo nome a una  signora, Aida, che prima di cedere il suo terreno ai profughi possedeva un bar su questa terra. Nella zone limitrofa al campo troviamo la Moschea di Bilal, il cimitero musulmano e la Tomba di Rachele, luogo rivendicato dal popolo israeliano e motivo dei continui scontri. Alcuni problemi del campo continuano a persistere ancora oggi, tra questi i principali sono: l’acqua, l’elettricità, l’istruzione e la mancanza di un medico all’interno del campo inoltre l’ospedale più vicino nella città di Betlemme.Da quando è nato sino ad oggi, il campo è sempre stato oggetto di vessazioni da parte dell’esercito israeliano. Gli scontri di ribellione del popolo di Aida si sono intensificati nell’anno 1970, durante l’edificazione della colonia di Ghilo e nell’anno 1995, a causa della costruzione della strada che porta da Gerusalemme alla colonia di Gush Etzion. Dopo diverse settimane di rivolta gli scontri sono continuati alternandosi a pause sino all’anno 2000, anno dello scoppio della Seconda Intifada. Come in ogni villaggio palestinese anche in Aida si è acceso il fuoco della rivolta contro l’occupazione israeliana. Durante il primo mese di Intifada dal campo è stato lanciato un razzo, di piccole dimensioni, verso la colonia di Ghilo, fattore scatenante l’immediata occupazione militare di Betlemme e il tentato ingresso in Aida per quattro giorni. Nel 2001 l’esercito israeliano ha tentato nuovamente l’ingresso in Aida accompagnando i soldati con carrarmati ed elicotteri che sorvolavano il campo; nonostante ciò la resistenza non si è mai arresa o spaventata, ha invece sempre continuato a lottare. A causa della forte disparità di mezzi in cui versava il popolo di Aida, in un solo giorno si trovarono cinque nuovi martiri. L’esercito israeliano, dopo aver fallito i tentativi di ingresso nel campo per circa una settimana, ha deciso di attuare una nuova strategia. Diverse case si trovarono dei buchi nelle mura che dovevano funzionare da passaggio per i soldati intimoriti dagli scontri nelle strade e per riuscire a porre un maggior controllo sui giovani delle brigate.Questi, per evitare problemi e vittime in famiglia, scelsero di non posizionare le bombe ai piani superiori delle case per farle crollare sui soldati. Le brigate cambiarono strategia: le donne divennero il loro occhio. Esse avevano il compito di segnalare agli uomini, di giorno fuori dal campo, gli spostamenti dei soldati. Questo permise al popolo di Aida, di esser sempre pronto e di scatenare gli scontri nella notte con l’obiettivo di uccidere i soldati. In una notte ne morirono tre. Circa dieci notti successive all’accaduto Aida si riunì a festeggiare la vittoria in seguito alla ritirata dell’esercito israeliano. Nel 2002, sempre durante l’Intifada, un gran numero di persone si era rifugiato, sperando di trovarsi al sicuro anche per l’occhio dei media, nella Chiesa della Natività a Betlemme. Vane speranze che si scontrarono con l’occupazione che entrò a Betlemme e nella Chiesa dopo circa quaranta giorni per effettuare arresti. Alcune di queste persone, sono state mandate fuori dalla West Bank, ventidue a Gaza, tra cui due giovani di Aida, e tredici in Europa senza il permesso di ritorno poiché considerate pericolose per Israele. All’inizio del 2003, l’esercito ha intensificato gli arresti dei giovani delle brigate sia all’interno che all’esterno del campo prelevandoli dalle loro case. Così proseguì tutto l’anno fino a quando, verso la fine del 2003, è iniziato il progetto di costruzione del muro dell’apartheid, concluso nel 2005 e che, attualmente si trova a circa quindici metri dalle case più esterne del campo. Durante gli anni di costruzione del muro, 2004/2005, molti giovani di Aida sono stati arrestati perché partecipavano agli scontri e alle manifestazioni che si opponevano all’occupazione. Alcuni di loro, dopo un periodo di circa cinque anni nelle carceri israeliane, sono stati segregati nella Striscia di Gaza. Ad oggi il campo conta: trentadue martiri, cinque ragazzi mandati fuori dalla West Bank senza permesso di ritorno e 75 ragazzi nelle carceri israeliane di cui 7 destinati a passarci tutta la vita e uno ventimila anni. Aida. Prima di essere campo, prima di essere partiti è insegnamento alla resistenza, è un esempio di lotta contro l’occupazione e speranza nella libertà e nel ritorno.